02 maggio 2006

Migrare in Emilia- Romagna



Pubblichiamo l'intervento di Passepartout all'interno del persorso formativo per operatori sociali del volontariato "Migrare in Emilia- Romagna" all'interno del modulo "il diritto all'abitare".


Case e migranti
brevi spunti di riflessione sull'Italia e su Bologna
a cura del collettivo Passepartout
In Italia, prima del 1997, la domanda dei migranti era rivolta prevalentemente al mercato dell’affitto. Da allora, in forte crescita negli ultimi tre anni, si è presentato il fenomeno dell’acquisto, prevalentemente in periferia, nei centri storici degradati e in quartieri multietnici. Questo in larga parte per tre ragioni: la prima sono i costi eccessivi degli affitti, la seconda le discriminazioni che troppi devono subire da parte degli affittuari, la terza la volontà di stabilirsi definitivamente in Italia. Da un campione di 300 agenzie è risultato un aumento dell’accesso alla prima casa, che comprende il 10% degli acquisti totali. Probabilmente sarebbe anche maggiore, tuttavia nel 2005 c’è stato un ampio divario tra la domanda espressa e quella soddisfatta (il 12,6% del totale), per diverse ragioni, ad alcune delle quali accenneremo più avanti. Nelle agenzie di periferia delle grandi città e dei quartieri con maggior presenza immigrata, il 50% di chi compra o affitta è migrante: questo commercio redditizio ha spostato l’interesse degli operatori immobiliari verso questa nuova tipologia di mercato.
I nuovi acquirenti vengono principalmente dall'Europa Orientale (il 26,3% da Albania e Romania) e dall'Africa Settentrionale (il 23,1% da Marocco, Tunisia ed Egitto). Minori sono gli arrivi da India, Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka, Cina (un 16%), Sud America (9,6%) e Filippine (4,5%).
Gli “acquirenti tipo” sono soprattutto famiglie di 4/5 persone, con genitori giovani, intorno ai 25/35 anni, tutti con un regolare permesso di soggiorno, una busta paga per attestare un lavoro sicuro e residenti in Italia da molti anni.
La “casa tipo” è in periferia o nei centri storici degradati delle grandi città, zone fatiscenti, abbandonate dagli italiani che possono, cioè in quartieri dove le valutazioni degli immobili sono più basse. Per l’80% sono case di scarsa qualità, spesso da ristrutturare, fra i 60 e i 90 mq, ben fornite di trasporti pubblici nelle vicinanze.
L'85% sceglie bilocali e trilocali, un 10% opta per un monolocale, il restante 5% si divide tra quadrilocali e appartamenti sopra i 120 mq. L’ampiezza dei locali è utile ai ricongiungimenti familiari e a dividere le spese tra più persone.
Il mercato respira a pieni polmoni i benefici di questa situazione: difficilmente questi immobili, per le loro condizioni, sarebbero stati venduti ad italiani, i quali grazie a questo ricambio potranno permettersi acquisti in zone più prestigiose; migliorando le loro condizioni di vita lasciano quegli spazi ai migranti.
Un'altra speculazione frequente è quella delle Agenzie Immobiliari: molte di queste chiedono alte somme per la ricerca di un appartamento che poi non si materializza e nonostante questo la cauzione non viene restituita
Capita che i condomini non sia entusiasti di questi nuovi arrivi: l'acquisto da parte di uno straniero spesso penalizza l'intera palazzina dal punto di vista del valore commerciale.
Il mutuo dura nel 90% dei casi da 25 a 35 anni, nel 10% 20 anni. Spesso le banche fanno richieste eccessive di documenti e garanzie, se non addirittura ingiustificati rifiuti, anche se studi di settore hanno dimostrato che non esiste un reale rischio. Oltre a pregiudizi razziali, le diffidenze sono dovute alla richiesta, in larga parte, di un mutuo al 100%, per immobili di scarsa qualità, da ristrutturare, in quartieri poco appetibili. Case di poco valore per la banca in caso di insolvenza. Inoltre, con l’aumentata periodicità del rinnovo del permesso di soggiorno (a causa della Bossi-Fini), la paura è di un rientro in patria con mancata corresponsione delle rate. I documenti richiesti sono il permesso o la carta di soggiorno, un contratto di lavoro regolare, una residenza da 3 a 5 anni. Sono privilegiate le famiglie con moglie e figli residenti, chi ha una buona conoscenza dell’Italia e dell’italiano e chi ha la possibilità di cointestare il mutuo o fare una fideiussione ad un parente di primo grado.
Inserirsi nel mercato dell’affitto è difficile: troppo poco disponibili i proprietari ad affittare a stranieri (tanto meno a stipulare contratti con gli stessi) e troppo alte le cifre, considerando anche che un immigrato guadagna il 31% in meno di un italiano (dato Uil).
Il 60% dei migranti vive in condizioni stabili. Di questo 60, un 56% è in affitto e un 4% è proprietario. Tra chi è in affitto, il 22,3% vive in condizioni di sovraffollamento.
Il restante 39,7% vive in condizioni abitative precarie (alloggi di fortuna, case occupate, presso i datori di lavoro, ospiti da amici o parenti).
Se sommiamo i dati di chi vive in sovraffollamento con quelli di chi vive in condizioni precarie viene fuori che il 61,9% del totale è in disagio abitativo e che questo disagio riguarda nel 70% dei casi migranti di recente regolarizzazione.
Lo Stato italiano d’altra parte ha ridotto progressivamente il fondo nazionale per il sostegno all’affitto (dal 2000 al 2005 -48% ) , mentre i canoni sono aumentati mediamente, tra il 1998 e il 2004, del 49% (ma a Venezia del 139% e a Roma del 91) e i valori degli immobili sono cresciuti, tra il 2001 e il 2004, quasi del 40% (media nazionale nelle città capoluogo). Da una parte poi, si sono tagliati i trasferimenti alle regioni per l’edilizia residenziale pubblica (Erp), dall’altra la stessa è fortemente in calo a causa di dismissioni e privatizzazioni. L’accesso alle case Erp quindi è difficile, anche se i migranti sono spesso ai primi posti nelle graduatorie. Il paradosso, poi, è che moltissimi stranieri sono impiegati nell’edilizia di cui la maggior parte in nero: costruiscono case che per loro sono inaccessibili.
In Italia il 75% degli sfratti avviene per morosità ed è un dato in aumento. Il 6 Marzo 2006 Giacomo Canini, presidente dell’Uppi (Unione piccoli proprietari immobiliari), riferendosi a queste persone ha dichiarato sul Sole 24 Ore:
“In molti casi si tratta di persone che non hanno nulla, neanche ci si può avvalere del pignoramento”, lamentando quindi perdite economiche e manifestando un accanimento in realtà largamente diffuso. A questo proposito, analizzando le reazioni di istituzioni e dei cittadini, si notano alcuni atteggiamenti diffusi tra cui la colpevolizzazione anziché la comprensione oppure la rigidità burocratica e giuridica anziché l’elasticità chiesta dal bisogno sociale più complesso, a volte un vero e proprio accanimento giuridico, come ad esempio l’assurda norma di alcuni comuni, tra cui Bologna, per cui chi occupa è automaticamente escluso dalle graduatorie. Il sentimento quindi che prevale è quello della povertà come colpa piuttosto che come condizione.
Il presidente dell’Uppi poteva invece sfruttare l’occasione per ricordare la possibilità di essere esentati dalle tasse per i canoni non riscossi e i 120 milioni di euro stanziati per il sostegno ai proprietari, mentre veniva dimezzato il fondo nazionale per il sostegno all’affitto.
Il Sole 24 Ore, sempre nello stesso articolo del 6 Marzo 2006, facendo un’indagine in 15 maggiori città ha rilevato che su 35.000 sfratti pendenti, il 26% (circa 9.000-una percentuale altissima) vengono eseguiti. Corrado Sforza Fogliani, presidente di Confedilizia, ha dichiarato: " Prima, in un comune di grandi dimensioni occorrevano anche 10 anni per rendere esecutivo uno sfratto dopo la notifica delle autorità competenti: negli ultimi anni, con la nuova normativa, si riesce a concludere tutto anche in 5-6 mesi" "Quando c'era la commissione prefettizia sugli sfratti- prosegue Canini dell'Uppi- al cui interno erano rappresentati prefetto, comune, questura, Iacp(Istituto autonomo case popolari), enti previdenziali, inquilini e proprietari, prima di decidere l'utilizzo della forza pubblica occorrevano tempi lunghissimi. Ora, grazie anche a diverse sentenze a favore dei proprietari, la situazione è migliorata di molto". Tutto questo dimostra come la procedura funzioni e le garanzie dei proprietari vengano tutelate. Dall'altra parte invece, il recente blocco degli sfratti ha coinvolto solo 3 città (Roma, Napoli, Milano) per un totale di 2.500 famiglie. Impossibile che un numero così basso ingessi il mercato, come invece sostengono i proprietari, spaventati dal possibile estendersi di procedure di questo tipo.
Il picchetto antisfratto si è dimostrato uno strumento utile: oltre a tamponare in parte il disagio psicologico (considerando anche la quasi totale assenza dei servizi sociali nelle metropoli) può aprire una mediazione efficace e rinviare lo sfratto.
A Bologna un posto letto può superare i 500 euro, spesso in situazioni di sovraffollamento. L’affitto in nero è una prassi ormai largamente diffusa. Controllando le utenze di 10.000 appartamenti vuoti è risultato che 5.000 di questi avevano gas e luce collegati, erano quindi affittati irregolarmente, inoltre per il 2006 sono previsti 1800 sfratti. Il patrimonio pubblico sfitto è molto alto, l’ultimo dato Erp pubblico risale al Febbraio 2004 e risultavano 644 alloggi a vario titolo non disponibili:
206 da affidare ad imprese per la ristrutturazione
130 in ristrutturazione
120 in programmi di ristrutturazione
76 in programmi di demolizione
113 sospesi per necessità di manutenzione varie.
L’Acer (azienda casa Emilia – Romagna), che si occupa della gestione di patrimoni immobiliari, tra cui anche alloggi ex-Erp, nel marzo 2004 su un patrimonio di 12.689 case, attesta un locato totale di 11.857 e uno sfitto di 841, così diviso tra quartieri:
Borgo Panigale: locati 391, sfitti 23
Navile: locati 2.429, sfitti 137
Porto: locati753, sfitti 126
Reno: locati 1.126, sfitti 60
San Donato: locati 2.928, sfitti 181
Santo Stefano: locati 336, sfitti 41
San Vitale: locati 1.407, sfitti 59
Saragozza: locati 673, sfitti 75
Savena: locati 1.394, sfitti 66
a cui vanno sommati quelli ex proprietà dello Stato di cui 420 sono locati e 66 sfitti.
Tenere appartamenti vuoti serve, in larga parte, a far aumentare la domanda e quindi i prezzi degli immobili.
Le graduatorie d’accesso al patrimonio pubblico sono chiuse dal 2002 e utilizzano criteri d’inclusione antiquati che per questo escludono le nuove figure create dalle modificazioni del mondo del lavoro (precari ma anche senza reddito-lavoratori in nero)e dalle trasformazioni sociali (giovani coppie), e migranti senza permesso di soggiorno.
A Bologna i migranti sono il 6% della popolazione totale(circa 21.500 persone). La metà ha meno di 30 anni. Trovare casa è un'impresa non da poco: pochi affittano a stranieri, soprattutto se albanesi o africani, e chi lo fa chiede solitamente un costo aggiuntivo, e quasi sempre tutto in nero. I clandestini sono migliaia e sono costretti, oltre a lavorare in nero (2.000 di loro nei cantieri edili), a rimediare alloggi di fortuna. Dormono dove trovano: edifici pericolanti, ruderi, magazzini fatiscenti, aree industriali dismesse e costruiscono baraccopoli lungo la linea ferroviaria o sulle rive del Reno. Gli interventi pubblici sono stati scarsi, nella maggior parte dei casi si sono limitati ad un inutile sgombero. Uno dei tanti esempi che si potrebbero fare su chi specula sulle sofferenze degli altri è le storia, celebre in tutta Bologna, di Marzaduri: dopo aver acquistato interi palazzi in via Tibaldi, ha provveduto ad affittare a stranieri ogni centimetro quadrato, dal sottotetto allo scantinato, a prezzi altissimi, in condizioni più che malsane. Questa infelice storia va avanti tutt'ora, senza che le istituzioni siano intervenute in alcun modo.
Passepartout è uno dei tre collettivi che si occupa di diritto all'abitare a Bologna, formato dalle persone più diverse: studenti, precari, migranti, disoccupati, famiglie, single, coppie di fatto..
Le modalità con cui affrontiamo l'argomento sono diverse: quella che fa più parlare di sè è l'occupazione di appartamenti comunali che vedevamo essere lasciati in stato di abbandono per diversi anni, quindi inassegnabili. Questo perchè non è nelle nostre intenzioni scavalcare le graduatorie o alimentare una guerra tra poveri: piuttosto, invece, vogliamo ridare vivibilità alle case e dignità alle persone. L'occupazione, oltre a rispondere a dei bisogni, svela e rende pubbliche le inadempienze delle istituzioni: case pubbliche lasciate al degrado e graduatorie inaccessibili ai più. Il collettivo, nei suoi due anni di vita, ha organizzato una serie di attività nel quartiere in cui vive, per cercare di mettere in pratica una diversa idea di città e quartiere, accogliente e vivibile. Democrazia è anche migliorare il bene comune, aprendo nuovi spazi di partecipazione.
I maggiori esclusi dal vedersi riconosciuto il diritto alla casa sono tutte le situazioni borderline (ex detenuti, senza fissa dimora, migranti..). questi soggetti vengono affidati per lo più al solidarismo, all'assistenzialismo, ai sussidi: tutto questo può tamponare in parte alcuni problemi, ma non è una risposta adeguata, ne tantomeno la soluzione (senza commentare che in media nel 2005 il sostegno all'affitto è stato di 700 euro l'anno, cioè 63 euro al mese). Nessuno ha la risposta in tasca, tuttavia le persone, diventate ormai solo un utente oggetto che delega e si lamenta, attraverso l'autorganizzazione possono diventare soggetti attivi e propositivi, capaci di trovare soluzioni immediate ai loro problemi e sviluppando la propria autonomia.