15 marzo 2007

La legge non aiuta

Estratto da "il domani" del 15 marzo 2007

Un problema che non emerge

La legge sulle locazioni del 1998, ha introdotto un principio fortemente innovativo, e cioè la forma scritta obbligatoria per i contratti di affitto abitativi. La finalità dichiarata a suo tempo era quella di cercare di riconoscere maggiori diritti alle parti, sial al conduttore che al locatore, combattendo il fenomeno degli affitti in nero. Sin da subito in molti sorse il dubbio che la finalità sostanzialmente perseguita fosse in realtà un'altra, e cioè assicurare alle casse dello stato un gettito fiscalmente rilevante, e direttamente conseguente alla nuova forma obbligatoria del contratto.
Se il contratto è scritto, vanno applicate marche da bollo, ed è più complesso omettere sia la registrazione, che la dichiarazione dei redditi da fabbricati. Sia chiaro: somme dovute per adempimenti dovuti, e dunque nulla di irregolare nel perseguimento di giustizia fiscale.
Il punto è capire se, comunque, a fronte di un maggior onere per le parti, l'obiettivo dichiarato è stato o meno raggiunto.
La risposta è nei fatti. Non solo - dopo oltre otto anni di vigenza della norma - gli affitti senza
contratto continuano ad esistere, ma è pure gravemente peggiorata la situazione del conduttore.
Prima della L. 431/1998 chi occupava un appartamento pagando un canone senza contratto scritto poteva ottenere il riconoscimento dei suoi diritti dimostrando da un lato di occupare un alloggio, e dall'altro di versare un corrispettivo. Se l'affitto era sostenuto pro quota da vari soggetti, tutti questi erano da ritenersi conduttori. Oggi questi elementi non sono più sufficienti, perché anche se ricorressero le circostanze surrichiamata, il contratto sarebbe comunque invalido per difetto di forma scritta. Da ciò deriva che non c'è più un inquilini, ma un occupante senza titolo. E senza diritti. L'unica possibilità che ha il conduttore di essere riconosciuto tale, è quindi di dare la prova che sia stato il locatore a pretendere l'instaurazione di un rapporto di locazione di fatto; in questo modo, però, la parte debole è gravata di un complesso onere probatorio che in concreto ostacola la tutela dei diritti di chi paga un corrispettivo.
E che la possibilità dinanzi menzionata sia quanto meno di complessa percorribilità lo dimostra la pressoché totale assenza di contenzioso, a fronte della notoria sussistenza di un mercato di contratti di fatto. Se cioè prima della L. 431/1998 i contratti irregolari emergevano, e dopo la legge non più, questo vorrà pur dir qualcosa.
Che, cioè, la concreta attuazione della legge è contraddittoria con le premesse dichiarate dalla stessa e che, quindi, la attuale situazione è conseguente a quello che per il momento è contemporaneamente un obiettivo fallito ed un errore.
È per questo che l'evidenza che in questi giorni il problema degli affitti in nero ha assunto attesta un malessere vero. Il malessere di soggetti che hanno un bisogno primario, e cioè l'alloggio, e si trovano nella difficoltà oggettiva di far valere i propri diritti.
Particolare gravità ha poi il tema dei diritti nel caso di studenti o lavoratori fuori sede. Al di là di dichiarazioni di facciata, che lasciano né più né meno il tempo che trovano, è chiaro che ai contratti irregolari vanno assimilati anche le numerose locazioni con le quali un intero
appartamento viene locato ad uno studente fuori sede, nella perfetta consapevolezza che locali ed affitto verranno frazionati tra vari soggetti.
In questo caso, molto diffuso, parlare di subaffitto – quasicché l'intestatario del contratto
retraesse un reddito dall'immobile - è operazione intellettualmente non corretta.
A fronte di un quadro di ingiustizia diffusa è doveroso ogni legittimo sforzo per modificare le condizioni – anche se legislative - che lo rendono possibile. Per questo il Sicet è per gli affitti in regola e per una normativa che non ostacoli la regolarità. È giusto tutelare chi è costretto a lavoratore in nero, ma non può esservi dubbio alcuno che la tutela del diritto all'abitazione deve essere almeno di identica misura e natura, perché sempre di diritti primari si discute.